Se rinasco voglio nascere
calabrese. Ci sono molti buoni motivi per voler nascere in Calabria.
Il primo è che è una terra
bellissima, così selvaggia eppure così a portata di mano. Stretta fra 2 mari,
con spiagge incantevoli e acque di un azzurro profondo, è l’ideale per
conciliare tintarella e percorsi sterrati a cavallo di una moto. Il secondo è
che amo i cibi grassi e piccanti e la ‘nduja è stata oramai eletta a mitologia.
Il terzo è che in questo modo per raggiungerla non sarei costretto a percorrere
i 460 chilometri della Salerno-Reggio Calabria. Certo ora per 2/3 l’autostrada
è più che percorribile (è stato addirittura installato il controllo di velocità
con il sistema Vergilius) ma negli anni passati per uscirne indenne bisognava
aver fatto ore e ore di pratica sulla playstation.
Ma il principale motivo per cui
vorrei essere calabrese è che amo i boschi e le lunghe passeggiate fra la
natura e la Calabria è l’unico posto al mondo dove questo hobby viene retribuito
con i soldi pubblici.
Vi immaginate la soddisfazione di
andar per boschi e radure, in mezzo al fascino della macchia mediterranea o a
cercar gustosi funghi con cui fare meravigliosi sughi ed essere contemporaneamente
pagati?
E’ vero che c’è una regione che
quanto a forestali spende (molto) di più (la Sicilia) ma a quella penseremo in
altro post.
Quatto quatto dentro la legge di
stabilità il governo Renzi ha inserito un articolo che assegna ai forestali
calabresi (solo a loro, a quelli delle altre regioni nisba) 140 milioni di euro
in forza di una legge, la 236 del 1993, a sua volta derivante dalla legge 664
del 1984, che prevedeva contributi ai fini della riqualificazione e della
salvaguardia del patrimonio agricolo e forestale. Insomma gli alberi del
Pollino sono più alberi di quelli del Gran Sasso o dei boschi del Trentino e in
quanto superalberi vanno protetti. Magari i 140 milioni serviranno a pagare gli
stipendi dato che qualche mese fa le giubbe verdi calabre protestarono per gli
arretrati, ma quando ogni ettaro controllato costa quasi 600 euro è normale che
poi i conti non tornino.
La legge di 21 anni fa stanziava
1.340 miliardi di lire erogabili in un triennio. Si potrebbe pensare che allora
l’Italia vivesse un periodo di euforia economica e quindi si potessero
allegramente elargire risorse anche per attività ludiche; invece nel 1993
avevamo un rapporto debito/pil al 115% e un deficit oltre il 10%
Erano gli anni della manovra
lacrime e sangue da 92.000 miliardi del governo Amato, del blitz notturno sui
conti correnti, della svalutazione della lira.
Eppure si riuscivano a trovare quelli che al cambio di oggi, al netto
dell’inflazione, sarebbero 690 milioni di euro, oltre 2 volte e mezza la
dotazione prevista da Renzi per il fondo a sostegno dei disabili!
Il ministro del lavoro Poletti ha
dichiarato di non sapere niente dell’art. 7 del DDL Stabilità, escludendo
persino che una norma del genere possa essere possibile. Magari verrà
cancellata durante la discussione parlamentare ma intanto c’è e funghi e
foreste dell’Aspromonte sono salve.
In questa racconto, come in altri analoghi che riguardano i mille altri rivoli in cui la spesa pubblica si
disperde, c’è la chiave per capire perché questo Paese è finito nelle
condizioni in cui è. Il posto pubblico usato come misura del welfare, lo
stipendio come salvaguardia del territorio (salvo poi lasciare lo stesso territorio nel peggiore degrado) e come prebenda in cambio di voti.
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