1. Prendi questa mano zingara. Storia di IVA
Ovvero storia di una imposta che silenziosamente,
costantemente, inesorabilmente è salita fino ad arrivare a livelli
insopportabili.
L’iva fu introdotta nel 1973 ed era fissata al 12%. Subì 5
aumenti in meno di un ventennio arrivando al 20%, poi nel 2011 sotto la
pressione degli eventi che travolsero il nostro debito sovrano e con la
necessità da parte del governo Monti di dare un forte segnale di rigore
finanziario, la tregua si interruppe e passò al 21%.
Per i governi successivi la linea Monti deve essere sembrata
maestra giacché tanto Letta quanto Renzi hanno attinto a questa facile fonte
per riordinare i traballanti conti italici. Con la legge di stabilità 2013 l’aliquota
ordinaria è passata al 22%, con quella del 2015 Renzi ha calcato la mano minacciando
un triplo aumento: 24% dal 2016, 25% dal 2017 e 25,5% dal 2018.
Si tratta di aumenti previsti in caso di applicazione della
clausola di salvaguardia nel caso in cui gli obiettivi di bilancio non fossero
raggiunti, per cui non sono automatici. Tuttavia al momento non ci sono segnali
in base ai quali si può dire che torneranno, perché l’equilibrio contabile è
dato da tagli alla spesa corrente insufficienti. Nella nota di aggiornamento al
DEF l’indebitamento netto per il triennio 2016 è previsto rispettivamente all’1,8,
1,2 e 0,8%. Ma lo scenario descritto in quel documento vede anche una crescita
del prodotto interno lordo nello stesso periodo di 128 miliardi, ad una
stratosferica (per le abitudini italiane) media del 2,53% all’anno. Quando l’ottimismo
è il profumo della vita…
Renzi ha fatto dell’ottimismo un mantra; e sta bene. Ma
viste le premesse, con tutte le previsioni smentite dai fatti e balle più o
meno spaziali distribuite a forza di slide, la sensazione che si debba
ricorrere all’aumento delle imposte indirette per far quadrare i conti è molto
più di un’ipotesi.
In quel caso l’Italia avrebbe l’aliquota più alta d’Europa
dopo che già la pressione fiscale e tributaria complessiva detiene il primato
mondiale.
Le conseguenze in termini di gettito non sono prevedibili ma l’esperienza
recente ha dimostrato che se pur non cala, sicuramente cresce meno del
previsto. Con i consumi in picchiata è poi una misura fortemente pro-ciclica le
cui conseguenze è meglio non immaginare.
Poi ci sarebbero le accise, in aumento anche loro e
applicate al lordo di iva, ma meglio finirla qui con le cattive notizie.
2. Il Partito dei pensionati
In una piazza San Fedele ribollente di dentiere e di
cataratte, Silvio Berlusconi ha riunito le sue truppe per dire al mondo e all’Italia
intera che Lui c’è, Lui è tornato e sarà sempre fra di noi.
Si piega ma non si rompe, muore e poi risorge come il Gesù
Cristo a cui pensa di assomigliare. Certo sono lontani i tempi in cui il suo
era il primo partito del bel paese e poteva firmare patti con gli elettori.
Oggi deve rivolgersi giocoforza a quei pochi che ancora gli credono e che
credono che il no tax day di Forza Italia sia la giornata dello stop alle
tasse. Perché Lui le tasse non le ha mai fermate.
Tolse l’ICI, è vero, ma poi votò l’imu e ancora prima il suo
plenipotenziario ministro delle finanze concepì la più mostruosa macchina da
guerra fiscale che si sia mai vista in un Paese democratico.
Oggi promette dentiere per tutti e operazioni di cataratta
gratuite. Domani potrà annunciare protesi ed elisir di lunga vita ché se la
vita media non supera i 100 anni a votarlo rimarranno in pochi.
Promette anche, e non è una novità, benefici per la
compravendita delle case perché da immobiliarista prima e da proprietario di 14
ville poi la casa è sempre una dolce casa. Lui promette tanto non gli toccherà
mantenere.
Fa quasi tristezza il Silvio nazionale, scavalcato a destra
persino da un Salvini qualsiasi, per sua stessa ammissione nullafacente. Dall’imprenditore
che non ha mai licenziato nessuno al politico che non ha mai lavorato.
A Silvio basta essere presente; attore non protagonista di
un b movie. La massima aspirazione politica è oggi quella di poter avere al
quirinale un non nemico. Per questo si è espresso a favore di Amato, uomo per
tutte le stagioni e presunto padre della repubblica; un uomo, ricordiamolo, che
ha con l’ex cavaliere una comune origine politica: Bettino Craxi.
3. The Alemanno experience
E’ un terremoto quello che ha sconvolto i palazzi della
politica romana. Coinvolti politici e uomini di affari di qualunque
schieramento. Forse quella romana è la più pesante e vergognosa pagina di
cronaca giudiziaria della storia italiana, peggiore pure di tangentopoli. Ad
essere coinvolti non c’è il solito imprenditore ben ammanigliato che aggiusta
gli appalti con la compiacenza del politico di turno, bensì un’organizzazione
malavitosa di stampo mafioso che è organica all’amministrazione della capitale
e della Regione e che con illustri esponenti della politica è solita sedersi a
tavola per condividere luculliane libagioni.
Probabilmente Alemanno sarebbe comunque passato alla storia come
uno dei peggiori sindaci di Roma visto lo scandalo parentopoli e l’immane buco
di bilancio, 500 milioni secondo la Corte dei Conti, lasciato in eredità all’amministrazione
successiva. Essere però accostati a pluripregiudicati assassini, già terroristi
neri e delinquenti di una sanguinosa banda è un duro colpo. O meglio sarebbe;
perché in Italia nessun politico ha mai pagato col meritato oblio la melma in
cui è inciampato.
Intanto l’Alemanno ha pensato bene di difendersi scaricando
le proprie responsabilità sui suoi collaboratori che a detta sua non ha saputo
scegliere perché preoccupato a risolvere i problemi della città (sigh!).
No comment, meglio non cadere nella tentazione dell’insulto.
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