giovedì 4 dicembre 2014

Tris: IVA, i pensonati di Silvio e gli amici di Alemanno

1.       Prendi questa mano zingara. Storia di IVA

Ovvero storia di una imposta che silenziosamente, costantemente, inesorabilmente è salita fino ad arrivare a livelli insopportabili.

L’iva fu introdotta nel 1973 ed era fissata al 12%. Subì 5 aumenti in meno di un ventennio arrivando al 20%, poi nel 2011 sotto la pressione degli eventi che travolsero il nostro debito sovrano e con la necessità da parte del governo Monti di dare un forte segnale di rigore finanziario, la tregua si interruppe e passò al 21%.

Per i governi successivi la linea Monti deve essere sembrata maestra giacché tanto Letta quanto Renzi hanno attinto a questa facile fonte per riordinare i traballanti conti italici. Con la legge di stabilità 2013 l’aliquota ordinaria è passata al 22%, con quella del 2015 Renzi ha calcato la mano minacciando un triplo aumento: 24% dal 2016, 25% dal 2017 e 25,5% dal 2018.


Si tratta di aumenti previsti in caso di applicazione della clausola di salvaguardia nel caso in cui gli obiettivi di bilancio non fossero raggiunti, per cui non sono automatici. Tuttavia al momento non ci sono segnali in base ai quali si può dire che torneranno, perché l’equilibrio contabile è dato da tagli alla spesa corrente insufficienti. Nella nota di aggiornamento al DEF l’indebitamento netto per il triennio 2016 è previsto rispettivamente all’1,8, 1,2 e 0,8%. Ma lo scenario descritto in quel documento vede anche una crescita del prodotto interno lordo nello stesso periodo di 128 miliardi, ad una stratosferica (per le abitudini italiane) media del 2,53% all’anno. Quando l’ottimismo è il profumo della vita…
Renzi ha fatto dell’ottimismo un mantra; e sta bene. Ma viste le premesse, con tutte le previsioni smentite dai fatti e balle più o meno spaziali distribuite a forza di slide, la sensazione che si debba ricorrere all’aumento delle imposte indirette per far quadrare i conti è molto più di un’ipotesi.
In quel caso l’Italia avrebbe l’aliquota più alta d’Europa dopo che già la pressione fiscale e tributaria complessiva detiene il primato mondiale. 
Le conseguenze in termini di gettito non sono prevedibili ma l’esperienza recente ha dimostrato che se pur non cala, sicuramente cresce meno del previsto. Con i consumi in picchiata è poi una misura fortemente pro-ciclica le cui conseguenze è meglio non immaginare.
Poi ci sarebbero le accise, in aumento anche loro e applicate al lordo di iva, ma meglio finirla qui con le cattive notizie.

2.       Il Partito dei pensionati

In una piazza San Fedele ribollente di dentiere e di cataratte, Silvio Berlusconi ha riunito le sue truppe per dire al mondo e all’Italia intera che Lui c’è, Lui è tornato e sarà sempre fra di noi.
Si piega ma non si rompe, muore e poi risorge come il Gesù Cristo a cui pensa di assomigliare. Certo sono lontani i tempi in cui il suo era il primo partito del bel paese e poteva firmare patti con gli elettori. Oggi deve rivolgersi giocoforza a quei pochi che ancora gli credono e che credono che il no tax day di Forza Italia sia la giornata dello stop alle tasse. Perché Lui le tasse non le ha mai fermate.

Tolse l’ICI, è vero, ma poi votò l’imu e ancora prima il suo plenipotenziario ministro delle finanze concepì la più mostruosa macchina da guerra fiscale che si sia mai vista in un Paese democratico.
Oggi promette dentiere per tutti e operazioni di cataratta gratuite. Domani potrà annunciare protesi ed elisir di lunga vita ché se la vita media non supera i 100 anni a votarlo rimarranno in pochi.
Promette anche, e non è una novità, benefici per la compravendita delle case perché da immobiliarista prima e da proprietario di 14 ville poi la casa è sempre una dolce casa. Lui promette tanto non gli toccherà mantenere.

Fa quasi tristezza il Silvio nazionale, scavalcato a destra persino da un Salvini qualsiasi, per sua stessa ammissione nullafacente. Dall’imprenditore che non ha mai licenziato nessuno al politico che non ha mai lavorato.
A Silvio basta essere presente; attore non protagonista di un b movie. La massima aspirazione politica è oggi quella di poter avere al quirinale un non nemico. Per questo si è espresso a favore di Amato, uomo per tutte le stagioni e presunto padre della repubblica; un uomo, ricordiamolo, che ha con l’ex cavaliere una comune origine politica: Bettino Craxi.  

3.       The Alemanno experience

E’ un terremoto quello che ha sconvolto i palazzi della politica romana. Coinvolti politici e uomini di affari di qualunque schieramento. Forse quella romana è la più pesante e vergognosa pagina di cronaca giudiziaria della storia italiana, peggiore pure di tangentopoli. Ad essere coinvolti non c’è il solito imprenditore ben ammanigliato che aggiusta gli appalti con la compiacenza del politico di turno, bensì un’organizzazione malavitosa di stampo mafioso che è organica all’amministrazione della capitale e della Regione e che con illustri esponenti della politica è solita sedersi a tavola per condividere luculliane libagioni.

Probabilmente Alemanno sarebbe comunque passato alla storia come uno dei peggiori sindaci di Roma visto lo scandalo parentopoli e l’immane buco di bilancio, 500 milioni secondo la Corte dei Conti, lasciato in eredità all’amministrazione successiva. Essere però accostati a pluripregiudicati assassini, già terroristi neri e delinquenti di una sanguinosa banda è un duro colpo. O meglio sarebbe; perché in Italia nessun politico ha mai pagato col meritato oblio la melma in cui è inciampato.

Intanto l’Alemanno ha pensato bene di difendersi scaricando le proprie responsabilità sui suoi collaboratori che a detta sua non ha saputo scegliere perché preoccupato a risolvere i problemi della città (sigh!).

No comment, meglio non cadere nella tentazione dell’insulto.

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