lunedì 12 gennaio 2015

Un pensiero sociale? (ottava parte)

Siamo nati con il concetto di "bene comune" impiantato nel cervello.
Fin da bambini abbiamo ben presente l'idea di società e l'idea di spartizione di ciò che deve essere condiviso. Se da un lato questo principio di vivere in gruppo è ben presente nella vita comunitaria di ogni individuo fin dall'infanzia con l'inserimento nella scuola materna, dall'altro il concetto di individuo come cellula singola indipendente e con precisi diritti naturali viene sempre adombrato, nascosto e presto dimenticato.

Sono forte nel mio pensiero: non esiste bene comune.

Esso non esiste infatti se non come riflesso del bene di ogni individuo. Ogni singola persona deve ricercare il proprio bene, con riferimento al contesto sociale, politico e culturale in cui si muove.
Questo principio è talmente lontano nei nostri cervelli lobotomizzati che fino a mai leggerlo, nero su bianco, ci inorridisce e ci spinge a rigettare la cosa senza appello. E questo a mio avviso perché siamo stati abituati a ragionare in questa maniera; la cultura di cui siamo imbevuti ci obbliga a pensare in questo modo.
Persino la nota frase "Il bene di 100 vale più del bene di 1" ci sembra logica e inattaccabile. Ma è davvero così?

Il principio del bene comune porta a distorsioni terrificanti, giustificando qualsiasi azione volta alla repressione del pensiero, dell'azione individuale e dei diritti naturali di ogni individuo, a partire dalla sua esistenza, fino alla completa libertà di espressione di pensiero. Chi sono i cento che giustificano la repressione dell'uno? E perché cento e non due? Il principio è distorto fin nelle sue radici.

Ma se veniamo alla nostra storia di italiani, ci rendiamo conto di come la nostra cultura ed educazione abbia represso ogni possibilità di espressione dell'individuo a scapito del "bene comune". E' stato un sistematico annichilimento della individualità che ci ha portato al baratro attuale? Può essere. Sicuramente in parte.

In questi termini, risulta difficile non incontrare la critica di chi sostiene che l'egoismo sia un male da combattere. Questo perché si pensa sempre a "bene comune" come contrapposto a "egoismo": se non agisco per il bene comune allora sicuramente avrò un comportamento egoistico. Non esiste errore più semplice che cadere in questa trappola, perché a noi l'hanno insegnata all'asilo.
"Bene dell'individuo" non significa comportamento egoistico. In ambito aziendale ad esempio, la collaborazione con i propri colleghi è un comportamento rivolto alla propria soddisfazione professionale, alla ricerca di una ricompensa, anche economica, che potrà arrivare nel momento in cui i risultati complessivi saranno positivi. Un tale atteggiamento non è egoistico perché può migliorare la condizione dei propri colleghi, oltre che primariamente la propria.

Sulla base di questo principio, tutti gli individui dovrebbero realizzare il proprio bene in prospettiva di un "bene comune" inevitabilmente raggiunto proprio grazie a quello individuale.

("Pensiero sociale" un po' fuori dalle righe. Forse poi continuerò come in precedenza...)

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