lunedì 26 ottobre 2015

La Legge di stabilità secondo Renzi

Perché le tasse che diminuiscono invece aumentano

Mentre Renzi va in giro per il mondo per il suo road show in cui magnifica la ripresa economica italiana - partendo dal Cile che viaggia su saggi di crescita del Pil compresi fra il 2,8 e il 3,6 nel 2016 - comincia a dipanarsi la nebbia sulla legge di stabilità presentata alla stampa qualche giorno fa.
Capitolo centrale della “finanziaria” 2016 è il previsto funerale delle tasse sulla casa. L’argomento è già stato ampiamente trattato su queste pagine  http://noisefromamerika.org/articolo/mio-nonno-fava-mattoni e http://noisefromamerika.org/articolo/lo-strano-caso-abolizione-imu , per cui non ci tornerò.
Tutto l’impianto della manovra si basa su 3 elementi, come vedremo retorici, a conferma di quanto qui spesso si sostiene, ossia che Matteo Renzi sta facendo politica per tenersi il potere, non per risanare il paese.
i) Riduzione delle tasse
ii) Flessibilità del parametro del deficit
iii) Efficacia delle riforme
Riduzione delle tasse
L’aggiornamento al DEF, unico documento completo del governo oggi consultabile, ci dice che la pressione fiscale passerà dal 43,7% del 2015 al 44,2% del 2016 (esclusa la misura degli 80 euro che come sappiamo è imputata per ragioni di contabilità alle spese). Dunque se Renzi e Padoan parlano di riduzione delle tasse come scelta ineludibile che non è né di sinistra né di destra, deve esserci qualche elemento che viene sottratto artificiosamente alla discussione dato che è lo stesso governo a smentire sé stesso. Conoscendo un po’ di materia fiscale, soprattutto il modo in cui si dipana la matassa del calcolo delle imposte per effetto del combinato dei tanti, troppi, provvedimenti in materia, si può ottenere la risposta. Ad esempio, il ricalcolo del diritto alle agevolazioni fiscali in funzione dell’attuazione del Dpcm 159/2013 (Isee) produce per molti cittadini e famiglie un aumento del reddito equivalente e quindi minori detrazioni, quindi maggior pressione fiscale e minor reddito disponibile anche con l’abolizione dell’IMU. Ragion per cui fra il Renzi 1, quello che mostra le slide ai giornalisti, e il Renzi 2, quello che firma il DEF, è più probabile che quello sincero non sia il primo. In buona sostanza l’ineludibile ed auspicabile riduzione della pressione fiscale non ci sarà né nel 2016 né nel 2017. A legislazione vigente ci sarà al limite nel 2019, sempre che gli enti locali non possano compensare i minori introiti con un aumento delle addizionali di loro competenza.
Non meglio va sul fronte delle entrate tributarie complessive espresse in valore assoluto (non rapportato al PIL), laddove lo Stato conta di incassare 817 miliardi nel 2016, 843 nel 2017, 866 nel 2018 e 884 nel 2019; con una progressione che sembra inarrestabile.
C’è poi da ricordare che le clausole di salvaguardia, di cui parlerò dopo, non sono affatto annullate così come promesso a più riprese, ma solo posticipate.
Flessibilità del deficit
Ad una scelta di “destra”, o berluconiana, Renzi contrappone una scelta di “sinistra”, sfruttando gli spazi di manovra concessi dall’Unione Europea in materia di deficit. Il percorso verso il pareggio di bilancio si concluderebbe nel 2017. La deviazione, già prevista nella misura dello 0,5%, crescerà di un altro 0,3 a cui si aggiungerebbe un ulteriore 0,2 per effetto delle misure straordinarie destinate alla gestione dei flussi migratori. Si tratta come si vede di una manovra economica in deficit, né più né meno di tante altre che abbiamo visto negli anni passati. L’effetto di queste manovre, ce lo dice l’osservazione storica, è o l’aumento del debito o l’aumento delle imposte future; a meno che non ci sia una equivalente riduzione delle spese correnti. Ma anche qui Renzi fa l’uomo di sinistra (Fassina sarà contento) e di spending review si è persa oramai qualsiasi traccia. Certo ci sono i tagli lineari ai ministeri (1,5 miliardi) e quelli da definire alla sanità, ma sul capitolo pensioni che da solo concorre alla spesa dello Stato per il 17% già si parla di flessibilità in uscita e quindi di stress sui conti INPS.
Sull’equilibrio dei conti pubblici pende la scure dell’applicazione delle clausole di salvaguardia introdotte con la legge di stabilità 2015. Un aumento di 2 punti delle aliquote IVA e delle accise sugli oli minerali. Il governo sembra rendersi conto che gli aumenti previsti (da cui dipendeva l’approvazione europea della legge di stabilità dello scorso anno) possono compromettere la già timida ripresa, ma rimanda ad un futuro dibattito la loro sterilizzazione. E’ un modo di agire pericoloso perché il quadro economico mondiale mostra segni di rallentamento. Se, come sembra, la situazione internazionale dovesse peggiorare, le previsioni sul PIL dovrebbero essere riviste al ribasso e l’impianto della manovra impostata su un maggiore indebitamento salterebbe. A quel punto sarebbe ben difficile evitare gli aumenti previsti.
Efficacia delle riforme
Che il governo Renzi sia preda di un furore riformista non credo si possa negare. Che questa frenesia produca benefici effetti sull’economia è di là da dimostrare.
Posto che le riforme elettorali e costituzionali poco impattano sull’economia; posto che gli effetti degli 80 euro sui consumi sono stati men che trascurabili; posto poi che jobs act e decontribuzione hanno prodotto risultati sul fronte dell’occupazione ancora troppo altalenanti per essere considerati definitivi, qualcosa è lecito attendersi dai decreti delegati in materia di rapporti fra PA e contribuenti, abuso di diritto ed elusione e riforma delle società partecipate. Su queste materie tuttavia insistono ancora dubbi interpretativi e deleghe ancora non arrivate.
Di quelle previste dal cronoprogramma elaborato dal governo ad avere impatti sul prodotto interno lordo e in generale sull’economia ci sono solo la cessione di aziende pubbliche (Poste, Enav, Ferrovie dello Stato), riforma delle scuola e legge delega sulla riforma della P.A. Le ultime due dovrebbero produrre risultati fin da subito che però allo stato non si vedono.  
Conclusioni
La partita della ripresa passa necessariamente per una ridefinizione del rapporto fra pressione fiscale e razionalizzazione della spesa pubblica. Di solito il percorso parlamentare delle leggi di stabilità produce stravolgimenti che premiano la spesa e mortificano i buoni propositi sulla pressione fiscale. E’ ipotizzabile che sull’IMU sulla prima casa il testo proposto da Renzi trovi un’ampia convergenza, mentre sul resto dei provvedimenti l’iter potrebbe essere diverso. Qualunque sia il risultato finale, il governo sembra davvero aver intrapreso un cammino pieno di incognite, anche al netto degli ottimistici proclami e del clima di fiducia che intende ispirare.

Pubblicato su noisefromamrika.org

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