venerdì 24 giugno 2016

Panic on the streets of London

Prima di tutto i numeri. Per il Leave si sono pronunciati gli elettori delle province dell'Inghilterra mentre nelle principali città (la City su tutte) c'è stata un successo, talvolta largo del Remain.




A favore dell'Unione Europea si sono pronunciati in Scozia, in Irlanda del Nord (specie nelle contee a sud) e a Gibilterra; a favore del Leave in Galles (di poco). Significativo il voto scozzese, dove le pulsioni al distacco dall'Inghilterra sono secolari e ancora molto vive.

A favore del Remain le classi di età più giovani e più scolarizzate. Fin qui quello che tutti possono osservare.

Prima della consultazione di ieri l'economia inglese era la più in salute fra quelle dei grandi Paesi europei. L'unico dato in controtendenza era quello relativo al deficit, ma Cameron aveva avviato politiche di contenimento della spesa e il deficit era sceso di oltre 1 punto al 4,4% nel 2015.



E' generalmente accettato che i timori inglesi rispetto all'Unione Europea riguardano le politiche sull'immigrazione. Negli ultimi 3 anni è raddoppiato il numero dei residenti non english nelle principali città britanniche. La perdita di identità e la nostalgia per i tempi dell'impero sono state leve cavalcate dai favorevoli al Leave.



La scommessa di Cameron è andata male e il premier ha già annunciato le dimissioni, in linea con quanto aveva promesso, e che a condurre i lunghi negoziati che ora cominceranno sarà il suo successore a partire da ottobre. Una prima differenza rispetto alle consuetudini italiane si può cogliere: quando un leader inglese vuole rafforzare la propria posizione politica, convoca una consultazione popolare, con tutti i rischi che questo comporta. In Italia invece il voto viene considerato asincrono rispetto alle grandi scelte.

Sulle conseguenze economiche del Leave vedremo cosa accadrà. E' certo un lungo periodo di incertezza sui mercati, maggiore in queste prime ore a quanto successe all'indomani del fallimento di LM.
Molto dipenderà da come e in che tempi verranno condotti i negoziati previsti dall'articolo 50 del Trattato di Lisbona. La clausola di recesso unilaterale non è di facilissima applicazione:

  1. Il Paese che intende recedere deve notificare la sua intenzione al Consiglio Europeo, il quale fa le sue valutazioni ed emana le linee guida per la exit.
  2. L'Unione Europea, sentito il parere del Parlamento, delibera l'uscita del Paese richiedente a maggioranza qualificata.
  3. Raggiunto l'accordo e ratificata la cessazione i trattati internazionali non si applicano più. Nella più sfavorevole delle ipotesi i trattati cessano di avere effetto dopo 2 anni dalla notifica.
A quel punto è probabile che cominceranno i negoziati per nuovi trattati commerciali e di collaborazione.

Come si vede l'elemento di maggior tensione è legato all'incertezza sui tempi di realizzazione della Brexit e sul riassetto conseguente dei mercati, laddove va considerato che Londra è la più importante piazza finanziaria del mondo.

Il costo di questa incertezza sarà in qualche modo pagato da tutti gli attori, britannici in primis, senza che nessuno possa ritenersi al sicuro.

Se, come credo, questa Europa non funziona come dovrebbe (e potrebbe), sarebbe stato preferibile avere un UK all'interno dell'Unione Europea in modo da fare da stimolo a favore di maggior concorrenza e mercato libero. L'isolamento al quale i british si sono condannati non aiuta né l'Europa,né il mercato né, tanto meno, i british stessi.

Infine, fanno ridere quegli italiani che a parole si dicono pro libero mercato e poi esultano per l'innalzamento di nuove barriere conseguenti alla necessità, non eludibile, di dover rimettere nelle mani della burocrazia la definizione di accordi che erano già acquisiti. Ma si sa, i sarchiaponi non smettono mai di rivelarsi per ciò che sono. 

lunedì 9 maggio 2016

L''amore Vero Sa Aspettare

Abbandono per un po' i soliti post di economia e politica per fare un'incursione nel mondo della musica in occasione dell'"Evento Radiohead"dell'8 maggio.

Cinque anni abbiamo aspettato il nuovo lavoro dei RH, attesa appena mitigata dalle tensioni elettroniche di Yorke, dai dj set, dall'esperienza Atoms For Peace e dal download Torrent di Tomorrow's Modern Boxes.

La prima cosa che mi viene in mente è che, sebbene abbia amato i lavori di Thom, sentivo la mancanza di Jonny Greenwood e della sua genialità negli arrangiamenti; e se l'ultima volta avevo impiegato quasi un anno a metabolizzare The King Of Limbs, questa volta sono bastati 2 ascolti per restare sopraffatto da A Moon Shaped Pool.

I RH possono piacere o meno, hanno tanti fan quanto detrattori i quali rimproverano alla band di Oxford la solita storia di essere degli sfigati noiosi e stranianti, la voce di Thom dolente e lamentosa.
Quello che non è possibile non ammettere è che "the band who played creep", è lontana anni luce dal britpop postpunk che li ha generati e rappresenta, forse, la frontiera più avanzata della sperimentazione musicale. Ogni volta hanno saputo reinventare i loro suoni rimanendo sé stessi, marchiando a fuoco ogni fatica con il sound Radiohead. E' una specie di miracolo se si pensa che i 23 anni che separano AMSP da Pablo Honey ne fanno una delle band più longeve della scena inglese.

Quest'ultimo lavoro è semplicemente sublime, costruito con una ricchezza di sfumature di colori senza eguali che restituiscono il wall of sound persino nelle partiture più minimal. Così è in Identikit, Decks Dark, Ful Stop e in quella Present Tense già ascoltata decine di volte live, che qui prende le forme e il mood di un pezzo latineggiante.

Come sempre avvenuto in passato, cambierò di continuo il pezzo preferito perché ogni ascolto sarà la scoperta di nuovi particolari e di arrangiamenti "nascosti".
Una menzione speciale però deve andare a True Love Waits. Fu suonata la prima volta nel lontanissimo 1995, facendo parte delle session di The Bends, il loro secondo album.
Per quelle misteriose ragioni che solo Thom & Co. conoscono, non ha mai trovato spazio in un lavoro in studio. Forse colpa dell'iperperfezionismo che li porta sovente a riarrangiare continuamente un brano fino a che non suoni come sentono debba fare. Fatto è che trovarla qui, in questo mix straordinariamente assortito di arrangiamenti geniali, testi cupi e soavi allo stesso tempo, di beat ossessivi e di chitarre perdute (in alcuni passaggi addirittura glitter) mi fa dire che non solo l'amore vero sa aspettare, ma anche che alla fine arriva e travolge; dopo 5 anni.


 

sabato 13 febbraio 2016

Quell’aumento dell’iva di cui nessuno per ora parla

In questi giorni è partita la campagna pubblicitaria del governo che illustra i mirabolanti risultati ottenuti da Renzi in due anni.  Gli spot, si sa, non sono mai esempio di equilibrio e imparzialità giacché persino gli attori che addentano avidi succulente merendine in realtà masticano finto cibo neanche commestibile che sputeranno a videocamere spente. Tuttavia nelle slide governative c’è del vero, del falso e qualche mistificante omissione.
E’ su queste omissioni che voglio concentrami perché se il recente passato descritto dal governo appare roseo (e non lo è) sul futuro si addensano nubi minacciose. 

Le rilevazioni Istat dell’ultimo trimestre 2015 hanno restituito un rallentamento della crescita, marcato da una contrazione della domanda nazionale con un dato congiunturale dello 0,6% lontano dallo 0,8% preventivato dal governo. Padoan e tutto il pd hanno replicato con un’alzata di spalle sottolineando che “l’importante è la direzione”, ovvero il segno + davanti allo 0. Se tanto mi dà tanto anche uno 0,1% sarebbe gradito dato che l’importante è il segno positivo. 
Mancanza di argomenti e un po’ di serpeggiante timore che il banco salti secondo me, di cui è testimonianza anche il riscaldamento dei toni usati da Renzi contro la Commissione europea.

Sin qui il PIL italiano ha beneficiato di almeno 4 fattori esogeni:
  1.      La discesa dei prezzi delle materie prime
  2.      Il ciclo economico in ripresa
  3.      Le manovre monetarie pro cicliche della BCE
  4.     La riduzione degli spread, e degli interessi sul debito, grazie al firewall attuato e promesso da   Draghi.

L’impatto delle riforme è ancora troppo poco significativo e gli altalenanti dati su occupati e disoccupati dopo Jobs Act e decontribuzione sono lì a sostanziarlo.
Dunque se crescita c’è stata è dovuta non ad un miglioramento delle condizioni economiche interne, bensì a fattori esterni. Se, come sembra, le stime del governo si riveleranno troppo ottimistiche, per far quadrare i conti si imporranno  ai cittadini amare sorprese.

La legge di stabilità 2015 si reggeva su una scommessa: che il miglioramento del dato sul prodotto interno lordo avrebbe consentito l’aggiustamento del bilancio pubblico e  l’avvicinamento all’Obiettivo di Medio Termine; ad assicurare questo risultato erano state inserite clausole di salvaguardia automatiche che prevedevano aumento dell’iva e delle accise. Solo grazie ad esse la legge di stabilità passò il vaglio della Commissione. In nome dell’ottimismo (o dell’aritmetica elettorale) il governo ha poi messo in atto una politica espansiva a colpi di 80 euro e di bonus vari, alcuni bizzarri come quello cultura finanziato con la flessibilità concessa per l’emergenza immigrati, continuando a confidare nel miglioramento della congiuntura globale e rimandando al 2017 le clausole di salvaguardia.

Solo che non sempre le cose vanno come si spera e talvolta succede che l’economia cinese rallenti, quella di Russia e Brasile precipiti in recessione, che il prezzo del petrolio costantemente basso impoverisca i Paesi emergenti e che si comincino a sentire scricchiolii anche nelle economie, come quella tedesca, molto più solide della nostra (che infatti frenano anche loro ma meno di noi.
Salta il banco, addio flessibilità ed ottimismo e bagno nella realtà che poco somiglia la mondo dei sogni renziano.

Quelle clausole, valgono 26,2 miliardi di gettito aggiuntivo. Per poter rispettare gli impegni presi con la Commissione, il debito pubblico dovrebbe calare nel 2017 di 90 miliardi (in valori nominali) e il rapporto col PIL di quasi 6 punti percentuali. Dopo un breve periodo di calo invece, da agosto 2015 è ripreso a salire (fonte Banca d’Italia) e ha già raggiunto e superato i 2.212 miliardi previsti per fine esercizio 2017 dall’aggiornamento del DEF.
Il deficit strutturale secondo il governo sarebbe prossimo allo 0,3%, invece la Commissione  lo rileva all'1,4%. 
Se il forward looking della Commissione e quello più vicino alla realtà (voi fra Renzi e Juncker di chi vi fidate?) nulla lascia pensare che lo stato della finanza pubblica consenta di evitare manovre aggiuntive o che le clausole di salvaguardia si possano disinnescare anche per il 2017. 

Certo ci sarebbe il taglio della spesa pubblica, ma, come ha ben detto Marco Travaglio, questo governo si è dimostrato più abile a tagliare i commissari alla spending review che la spesa stessa.

Cosa significherebbe un aumento di 3 punti sull’iva? Sicuramente compressione ulteriore dei consumi, come sappiamo già molto deboli, e aumento della pressione fiscale. Significherebbe poi un’altra cosa: che la famigerata austerity non è determinata dagli euro burocrati di Bruxelles, i quali anzi da due anni a questa parte portano avanti moderate politiche espansive, ma dalla incapacità di Renzi di programmare politiche di bilancio sostenibili.

L’alternativa, qualche trucco contabile o un’altra procedura di infrazione di un’Europa che non si fida più delle parole del nostro premier.

Alla faccia di gufi, gufetti e altri animaletti dispettosi. 

sabato 30 gennaio 2016

Di crediti deteriorati e bad bank

Mi è stato chiesto di scrivere qualcosa di semplice e divulgativo sulla nuova crisi del sistema bancario. Con la vicenda delle quattro banche locali ristrutturate con il decreto di novembre, e il crollo dei prezzi di Mps in borsa, sembra che gli italiani abbiano scoperto che esistono crediti deteriorati, asset da svalutare e rischi dell'attività bancaria.
Nello specifico sull'argomento hanno già scritto Gabriella Chiesa qui Boldrin e Zanella qui  Massimo Famularo qui e Daniele Muritano qui. Si tratta quindi di una materia già ampiamente trattata (e ho citato solo quanto pubblicato su NfA) che dovrebbe essere oramai chiara e cercherò di non sovrappormi.
Ci sono però alcuni concetti base che non sembrano essere compresi dai più.

Prima di tutto un paio di considerazioni generali.
i) i crediti deteriorati rappresentano il rischio tipico dell'attività bancaria. Per contenerlo, agli istituti di credito è stato imposto dalla normativa di mettere in atto attività e procedure ispirati a criteri di oggettività limitando la discrezionalità nella valutazione del merito creditizio del soggetto da finanziare (sia esso azienda o persona). Quando qualcuno va in banca a chiedere per sé o per la sua impresa una linea di credito o un mutuo la prima procedura che viene attivata è la consultazione del rating, ovvero il punteggio che viene assegnato in base a storia bancaria, reddito, settore in cui si opera, circolante ecc. In linea di massima soggetti con rating compreso fra 1 e 4 accedono facilmente al credito, soggetti con rating fra 5 e 7 meritano una particolare attenzione sulla qualità della tipologia del credito richiesto, soggetti con rating >7 non sono di norma ritenuti finanziabili. La classificazione che ho riportato è volutamente grossolana per semplicità del discorso.
Naturalmente sottrarre alla discrezione la concessione del credito presenta vantaggi e svantaggi: il vantaggio è che il rischio di concederlo incautamente si abbatte; lo svantaggio è che start up costruite su proiezioni di redditività anche interessanti difficilmente saranno finanziate dal sistema bancario.
ii) gli impieghi della banca, sia sotto forma di credito di cassa che sotto forma di credito di firma, sono correlati negativamente con gli accantonamenti che devono essere fatti: migliore è il rating del soggetto finanziato e minore sarà l'accantonamento che deve essere messo a riserva per far fronte a situazioni di insolvenza. In altre parole avere in pancia crediti sicuri significa per la banca avere più soldi da prestare.

Se dunque esistono meccanismi oggettivi di contenimento del rischio perché quattro banche "falliscono" e Banca d'Italia ci fa sapere che le sofferenze lorde  del sistema sono a 200 miliardi (attenzione a non confonderle con quelle nette che corrispondono a meno della metà) e il valore delle stesse sugli attivi ha superato il 10%.

Perché il rischio tipico si può contenere ma non azzerare, perché la situazione finanziaria dei mutuatari può mutare nel tempo e perché le norme possono ancora essere aggirate a dispetto di Basilea e a favore di chi è amico (meglio se grande e ben ammanigliato). Un collega che opera nel settore bancario da qualche decennio dice sempre che "si fallisce per i crediti non per i debiti".

Posto dunque che i crediti deteriorati sono sistemici, cosa si può fare?

Da sempre, non da ora, esiste un mercato di cosiddetti Non Performing Loans, sia mobiliari che immobiliari. La risposta del mercato è quella di impacchettare un montante di NPL, venderlo a sconto in base a criteri di ponderazione e ipotesi di esigibilità a investitori qualificati e procedere col recupero o la negoziazione. Spannometricamente possiamo dire che un pacchetto composto bene vale fra il 10 e il 50% del credito sottostante. Un buon investimento di solito per chi lo acquista ma anche un buon affare per chi vende perché si libera di passività che appesantiscono il bilancio. La disciplina degli Special Purpose Vehicle (SPV) è normata dalla L.130/99 ed è armonizzata al Testo Unico Bancario.


Se il mercato c'è, perché può essere utile un intervento dello Stato? Nel caso delle 4 banche sottoposte ad amministrazione controllata a seguito delle ispezioni di banca d'Italia, il governo si è mosso favorendo la nascita di una Bad Bank, ovvero di un veicolo che assorbisse e trattasse crediti svalutati dell'83% . E' stata un'operazione nata con criteri di eccezionalità ed urgenza sulla quale sospendo il giudizio (comunque tendenzialmente negativo) perché finirei per analizzarlo sotto il profilo politico. 
Più in generale gli SPV funzionano bene anche in assenza di garanzia statale (per gli NPL immobiliari ci sono già le garanzia reali) purché a) il portafoglio crediti oggetto dell'operazione (secutization) sia acquisito a corretti valori di mercato, b) vengano rispettati  criteri di trasparenza nelle operazioni di negoziazione dei crediti cartolarizzati (cosa che non avvenne ad esempio nella grande crisi del 2007) c) il portafoglio sia sufficientemente ampio e in modo da diversificare il rischio. Lo Stato può quindi intervenire con proprie garanzie per favorire la circolazione del denaro nel sistema (un titolo garantito è più liquido di uno non liquido) ma può anche limitare il suo intervento a funzione di regolatore demandando alla Vigilanza il controllo sulla trasparenza delle operazioni e sulla composizione dei portafogli. In questo modo si eviterebbero anche il rischio di incorrere in procedure di infrazione per aiuti di Stato e in quello di scaricare sul bilancio pubblico, e quindi sui contribuenti, eventuali operazioni sbagliate.