In questi giorni è partita la campagna pubblicitaria del
governo che illustra i mirabolanti risultati ottenuti da Renzi in due anni. Gli spot, si sa, non sono mai esempio di
equilibrio e imparzialità giacché persino gli attori che addentano avidi
succulente merendine in realtà masticano finto cibo neanche commestibile che
sputeranno a videocamere spente. Tuttavia nelle slide governative c’è del vero,
del falso e qualche mistificante omissione.
E’ su queste omissioni che voglio concentrami perché se il
recente passato descritto dal governo appare roseo (e non lo è) sul futuro si
addensano nubi minacciose.
Le rilevazioni Istat dell’ultimo trimestre 2015
hanno restituito un rallentamento della crescita, marcato da una contrazione
della domanda nazionale con un dato congiunturale dello 0,6% lontano dallo 0,8%
preventivato dal governo. Padoan e tutto il pd hanno replicato con un’alzata di
spalle sottolineando che “l’importante è la direzione”, ovvero il segno +
davanti allo 0. Se tanto mi dà tanto anche uno 0,1% sarebbe gradito dato che l’importante
è il segno positivo.
Mancanza di argomenti e un po’ di serpeggiante timore che
il banco salti secondo me, di cui è testimonianza anche il riscaldamento dei
toni usati da Renzi contro la Commissione europea.
Sin qui il PIL italiano ha beneficiato di almeno 4 fattori
esogeni:
- La discesa dei prezzi delle materie prime
- Il ciclo economico in ripresa
- Le manovre monetarie pro cicliche della BCE
- La riduzione degli spread, e degli interessi sul debito, grazie al firewall attuato e promesso da Draghi.
L’impatto delle riforme è ancora troppo poco significativo e
gli altalenanti dati su occupati e disoccupati dopo Jobs Act e decontribuzione
sono lì a sostanziarlo.
Dunque se crescita c’è stata è dovuta non ad un miglioramento
delle condizioni economiche interne, bensì a fattori esterni. Se, come sembra,
le stime del governo si riveleranno troppo ottimistiche, per far quadrare i
conti si imporranno ai cittadini amare
sorprese.
La legge di stabilità 2015 si reggeva su una scommessa: che
il miglioramento del dato sul prodotto interno lordo avrebbe consentito l’aggiustamento
del bilancio pubblico e l’avvicinamento
all’Obiettivo di Medio Termine; ad assicurare questo risultato erano state inserite
clausole di salvaguardia automatiche che prevedevano aumento dell’iva e delle
accise. Solo grazie ad esse la legge di stabilità passò il vaglio della
Commissione. In nome dell’ottimismo (o dell’aritmetica elettorale) il governo
ha poi messo in atto una politica espansiva a colpi di 80 euro e di bonus vari,
alcuni bizzarri come quello cultura finanziato con la flessibilità concessa per
l’emergenza immigrati, continuando a confidare nel miglioramento della congiuntura globale e rimandando al 2017 le clausole di salvaguardia.
Solo che non sempre le cose vanno come si spera e talvolta
succede che l’economia cinese rallenti, quella di Russia e Brasile precipiti in
recessione, che il prezzo del petrolio costantemente basso impoverisca i Paesi
emergenti e che si comincino a sentire scricchiolii anche nelle economie, come
quella tedesca, molto più solide della nostra (che infatti frenano anche loro ma meno di noi.
Salta il banco, addio
flessibilità ed ottimismo e bagno nella realtà che poco somiglia la mondo dei
sogni renziano.
Quelle clausole, valgono 26,2 miliardi di gettito
aggiuntivo. Per poter rispettare gli impegni presi con la Commissione, il
debito pubblico dovrebbe calare nel 2017 di 90 miliardi (in valori nominali) e
il rapporto col PIL di quasi 6 punti percentuali. Dopo un
breve periodo di calo invece, da agosto 2015 è ripreso a salire (fonte Banca
d’Italia) e ha già raggiunto e superato i 2.212 miliardi previsti per fine
esercizio 2017 dall’aggiornamento del DEF.
Il deficit strutturale secondo il governo sarebbe prossimo allo 0,3%, invece la Commissione lo rileva all'1,4%.
Se il forward looking della Commissione e quello più vicino alla realtà (voi
fra Renzi e Juncker di chi vi fidate?) nulla lascia pensare che lo stato della
finanza pubblica consenta di evitare manovre aggiuntive o che le clausole di
salvaguardia si possano disinnescare anche per il 2017.
Certo ci sarebbe il
taglio della spesa pubblica, ma, come ha ben detto Marco Travaglio, questo
governo si è dimostrato più abile a tagliare i commissari alla spending review
che la spesa stessa.
Cosa significherebbe un aumento di 3 punti sull’iva?
Sicuramente compressione ulteriore dei consumi, come sappiamo già molto deboli,
e aumento della pressione fiscale. Significherebbe poi un’altra cosa: che la
famigerata austerity non è determinata dagli euro burocrati di Bruxelles, i
quali anzi da due anni a questa parte portano avanti moderate politiche
espansive, ma dalla incapacità di Renzi di programmare politiche di bilancio
sostenibili.
L’alternativa, qualche trucco contabile o un’altra procedura
di infrazione di un’Europa che non si fida più delle parole del nostro premier.
Alla faccia di gufi, gufetti e altri animaletti dispettosi.